
MORO: DELITTO DI STATO (Seconda puntata)
MORO: DELITTO DI STATO
(Seconda puntata)
Un mese prima della strage di via Fani, a Roma, avvenuta alle ore 9,02 del 16 marzo 1978, che costò la vita agli uomini di scorta del presidente DC e il suo rapimento ad opera delle Brigate Rosse, come si è detto nella puntata precedente, pubblicata ieri, ai servizi segreti giunse una soffiata di un detenuto del carcere di Matera che avvertiva della preparazione del rapimento dello statista. Il generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi e uomo della illegale loggia P2, che racchiudeva uomini di grande peso politico e militare, dirà, in seguito, che la comunicazione di quella soffiata giunse sul suo tavolo a rapimento appena avvenuto, il 16 marzo, cioè il giorno dopo. In quali meandri si era persa per quasi un mese? Fatto non credibile.
Altra nota fortemente stonata è la presenza alle ore 9 del giorno del rapimento, nei pressi di via Fani del colonnello Camillo Guglielmini ufficiale dell’ufficio R del Sismi, l’allora Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, in altre parole i servizi segreti.
La vicenda emerge solo nel 1991, quando un ex agente del Sismi, Pierluigi Ravasio, non solo rivela la presenza dell’uomo dei servizi nel luogo dell’agguato, ma va oltre sostenendo che Guglielmini si era recato sul posto su richiesta del generale Pietro Musumeci, anche lui affiliato alla P2, allora a capo dell’Ufficio R del Sismi. Il colonnello Guglielmini non negò di essere stato quella tragica mattina a qualche centinaio di metri dal luogo dell’eccidio e del rapimento, ma solo perché era stato invitato a pranzo dal colonnello Armando D’Ambrosio la cui abitazione era in via Stresa. A parte il fatto che uno che è invitato a pranzo non si presenta alle 9 del mattino, D’Ambrosio negò l’invito a pranzo, ma sostenne che Guglielmini si era presentato, inaspettato, alle 9 e dopo qualche minuto era sceso subito in strada dicendo che qualcosa doveva essere accaduto.
Per anni, cosa singolare, Guglielmini non disse mai né alla magistratura inquirente né a un organo di polizia a cosa avesse assistito, fino alle rivelazioni di Ravasio.
Dopo diverse ricostruzioni dell’agguato, si pervenne alla certezza che del commando BR che, per loro stessa ammissione durante gli interrogatori, non erano ben addestrati alle armi, dovevano far parte persone che con le armi avevano molta dimestichezza. Due professionisti, individuati in due uomini scomparsi dopo l’agguato.
La tesi di persone super addestrate presenti in via Fani è stata ripresa anche dal fratello dello statista, Alfredo Carlo Moro, magistrato, nel suo Storia di un delitto annunciato.
Sul terreno vennero rinvenuti 91 bossoli sparati dal gruppo armato. Di questi, ben 49 risultarono esplosi da una sola arma e 22 da altre. Nel primo processo Moro emerse, dalla descrizione di un testimone, che un giovane che mostrava estrema padronanza dell’arma, esplose delle raffiche con maestria, la prima a distanza ravvicinata, rispetto al bersaglio. Nella seconda fece un balzo all’indietro per allargare il raggio del tiro. «Nessuna delle figure dei brigatisti noti - scrisse Alfredo Carlo Moro – ha le caratteristiche di professionalità che ha posto in luce nell’agguato l’uomo descritto in azione dal testimone, né l’arma da lui usata è stata mai rinvenuta o usata in successivi agguati delle Brigate Rosse».
Si parlò anche di membri della banda della Magliana che erano vicini ai servizi segreti e si accertò che il comunicato numero 7 delle BR nel quale si indicava il lago della Duchessa (nei pressi di Rieti) come il luogo dove era stato scaricato il corpo di Aldo Moro era un falso, predisposto proprio da un appartenente alla banda della Magliana su mandato del generale Giuseppe Santovito. Lo scopo del falso comunicato fu quello di ritardare le indagini e la ricerca dello statista.
Nella vicenda entrano diversi Servizi segreti stranieri. Statunitensi, russi, israeliani, francesi, da tempo bazzicavano l’Italia. Ricordo che l’allora ex deputato socialista, Pasquale Schiano, molto vicino a Francesco De Martino, che era stato segretario del Partito Socialista, dichiarò che in Italia erano molto attivi i servizi segreti francesi. Ma che interesse avevano i francesi a destabilizzare l’Italia? A meno che non facessero un favore ad altri Stati loro amici. È però provato che il KGB, il potente servizio segreto sovietico, era presente nel nostro Paese e lo fu attivamente nel caso Moro.
Un giovane sovietico “vinse” una borsa di studio per studiare in Italia, giunse a Roma nel settembre del 1977 e venne autorizzato a frequentare l’Istituto di Storia del Risorgimento della “Sapienza”, perché, disse, voleva approfondire quel periodo italiano. Ma lo studente iniziò a frequentare poco gli studi di storia e seguì invece molto le lezioni di diritto penale del professore Moro. Cosa aveva a che fare la storia d’Italia con il diritto penale? Prese a fare delle domande sullo statista, sulle sue abitudini, domande che insospettirono Franco Tritto, assistente ed amico di Moro, al quale fece cenno dello strano comportamento del russo. Moro pose più attenzione allo studente e capì che nel suo atteggiamento c’era qualcosa di strano: chiedeva troppe cose, si informava sui suoi spostamenti. Il maresciallo Oreste Leonardi, capo della scorta di Moro, fiutò nell’aria qualcosa e ne parlò al generale dei carabinieri Arnaldo Ferrara. Gli fu risposto di non fantasticare troppo e di non fare allarmismo.
Lo studente sparì all’indomani del sequestro del presidente della DC. Chi fosse lo si seppe dopo 20 anni, grazie al Dossier Mitrokhin: il colonnello del KGB Feodor Sergey Sokolov. Che parte ebbe nel sequestro?
Nello sceneggiato “Esterno Notte”, viene fatto dire a “Cossiga” che Aldo Moro aveva rifiutato l’auto blindata perché “voleva essere come gli altri cittadini”. Per amore della verità, più volte il capo della scorta chiese maggiore protezione e di questa mancanza si lamenta lo stesso Moro in una delle sue lettere. Il punto è che Moro era divenuto (il perché lo vedremo nella prossima puntata), un personaggio fortemente scomodo. Cosa disse, Libero Gualtieri, presidente della Commissione d’inchiesta sul terrorismo del 1993? “Forse è stato il più grande delitto di Stato della storia italiana”.
(2 – Continua)

