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MISTERI D’ITALIA:  IL DELITTO MATTEI

MISTERI D’ITALIA: IL DELITTO MATTEI

Di recente, in occasione della visita del nostro Presidente del Consiglio dei Ministri in Algeria per accordi sulla cessione di una maggiore quota di petrolio all’Italia, si è accennato in Tv e sui giornali, al Progetto Mattei, l’italiano che per primo pensò di fare grande l’Italia del petrolio. Inoltre, in un commento alla mia ricostruzione dell’uccisione del presidente della DC, Aldo Moro, Elio Lucchesi, cita quello del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, tra i tanti delitti d’Italia finiti nel “nulla”.

Sono trascorsi tanti anni, ma la morte di Mattei resta ancora uno dei misteri più grandi d’Italia, rimasto senza colpevoli. Penso sia corretto ricordare quella parte non edificante della storia d’Italia. E qui, propongo solo una parte di una mia inchiesta, che penso basti a rendere l’idea del complotto contro lo scomodo, per alcuni, presidente dell’Eni.  

Partigiano cattolico durante la resistenza si fece subito notare per la sua prontezza e intelligenza organizzativa. Subito dopo la fine della guerra, gli venne conferito l’incarico di liquidare l’Agip, l’Azienda Generale Italiana Petroli, una società in crisi per scelte errate, divisioni interne e condizionamenti.

Mattei, si rese conto che l’Agip aveva delle potenzialità enormi, fino ad allora o non fruttate o affossate. Contro il parere del presidente del consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi,  convinto che occorresse liquidare l’azienda, iniziò a preparare piani per il suo rilancio, convinto che per fare risorgere l’Italia, che viveva un triste momento di crisi, andava seguita la via de petrolio. Convinse il ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, e persino De Gasperi, e si mise subito all’opera. In poco tempo, dimostrò che l’Agip non era pronta per il funerale, ma che aveva tutte le capacità per risorgere.

Nel luglio del 1952 nacque l’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi. Presidente: Enrico Mattei. Deciso a fare dell’Italia una potenza del petrolio, senza paura di scontrarsi con le aziende inglesi e americane, che detenevano il monopolio nel mondo, decise di andare direttamente alla fonte, a trattare con Iran, Marocco, Libia, Tunisia, Egitto, Nigeria, Ghana e Algeria. Su quest’ultima, si scontrò col governo francese, che lo accusò di aiutare la rivolta algerina contro i francesi. Di fatto, con un’Algeria libera dalla Francia si poteva discutere meglio. E a Mattei giunsero le prime minacce di morte da parte di organizzazioni nazionaliste francesi. Ma il presidente dell’Eni si stava creando nemici non solo all’estero. Le ombre avverse si addensarono anche in Italia. Si scontrò con l’invidia e gli interessi di molti, come spesso accade nel nostro Paese.

Mattei andò a rompere le uova nel paniere a chi deteneva l’egemonia dell’oligopolio internazionale del petrolio: gli anglo-americani. Questi destinavano il 25 percento dei profitti ai paesi produttori, Mattei intese rompere questo “cartello”, offrì una percentuale più alta e cercò di accaparrarsi una grossa fetta del loro greggio, un’operazione conveniente per tutti, meno che per le compagnie petrolifere anglo-americane. Mattei ruppe, di fatto, l’equilibrio del mercato mondiale, con irritazione delle sette compagnie straniere (le sette sorelle). Nel suo intento gli venne in aiuto la politica di Fanfani che credeva in un allargamento degli interessi italiani in aree mediorientali. L’atteggiamento di Fanfani non piacque agli americani, che non gli lesinarono critiche. Naturalmente, com’è da sempre costume italiano quando si intraprende qualcosa di nuovo, molte polemiche nacquero anche all’interno: le grandi imprese italiane mostrarono la loro contrarietà all’appoggio fanfaniano all’ENI. Temendo una forte ingerenza statale in economia, fenomeno che già si delineava con la nazionalizzazione dell’energia elettrica. 

Mattei non lesinò l’“acquisto” di favori politici per proseguire sulla sua strada, non certamente per tornaconto personale, ma per seguire l’obiettivo che si era proposto: fare dell’Italia una potenza petrolifera. E furono tanti i soldi che girarono. E così aumentarono sempre di più i nemici interni.

Enrico Mattei, divenne oggetto di articoli infuocati, lo si accusò di essere un corruttore, di manipolare la politica a suo piacimento. E dovette guardarsi le spalle anche all’interno della stessa Eni, dove scoppiò la gelosia nei suoi confronti. Gli piovvero addosso un’infinità di attacchi dei giornali e nel 1956 decise di finanziare, a Milano, una nuova testata quotidiana “Il Giorno”.

Il primo allarme che qualcuno intendeva liberarsi di Mattei, si ebbe nel gennaio del 1962 quando il pilota del suo aereo, non convinto dai rumori di uno dei reattori, spense i motori e chiese una verifica. Si scoprì un cacciavite fissato con del nastro adesivo all’interno della parete del motore. Il nastro adesivo, non appena l’aereo fosse stato in volo, sarebbe stato sciolto dal calore e il cacciavite, risucchiato all’interno del reattore, ne avrebbe provocato l’esplosione. Disintegrato il reattore, naturalmente, non si sarebbe mai trovata la causa dello scoppio dell’aereo.

Enrico Mattei era cosciente di essere divenuto un bersaglio. Ma era difficile capire da quale parte sarebbe giunto il colpo mortale. I nemici erano tanti, all’interno e all’esterno del Paese.

L’ultimo suo viaggio lo fece in Sicilia, con un peso nel cuore e il presentimento che non sarebbe più tornato a casa, come vedremo in seguito.

(1 – continua)