
MISTERI D’ITALIA: IL DELITTO MATTEI (seconda puntata)
Mattei si trattenne due giorni in Sicilia. Visitò gli impianti di Gela, tenne delle riunioni con i responsabili. Il secondo giorno, si recò a Gagliano Castelferrato, un centro della provincia di Enna, dove era stato rinvenuto un giacimento di gas metano, in seguito dimostratosi meno promettente di quanto ci si aspettasse. E si era sparsa la voce della chiusura dell’impianto.
Per meglio chiarire la vicenda, va riportato che il Presidente della Regione Siciliana, il democristiano Giuseppe D’Angelo, nell’ambito di un riordino dell’amministrazione regionale, affrontò un problema spinoso per l’Isola: il settore zolfifero, gestito da privati e altre risorse del sottosuolo. In favore del primo settore, la Regione aveva erogato in due anni (1959-60) ben 139 miliardi e 369 milioni di lire. Inutilmente. Non avvenne un sostanziale cambiamento nelle tecniche di estrazione, rimaste pressappoco alla stessa stregua di quelle del dopoguerra, così come non ci fu alcuna novità nei rapporti legati a diverse denunce sociali, tra gestori e minatori, costretti, questi ultimi, a una vita difficile per sfamare malamente le famiglie. In questo settore è stata sempre viva la mafia.
Il progetto trovò subito l’opposizione di chi non voleva che le cose cambiassero, un “vizio” molto diffuso in Sicilia, dove vivono le più “strane” connivenze. Dopo due mesi di dibattito, la legge venne approvata il 22 dicembre 1962, con 52 voti favorevoli e 37 contrari. I voti venuti meno alla maggioranza, vennero coperti da quelli comunisti.
Il presidente D’Angelo firmò un’intesa con l’ENI per lo sfruttamento dei giacimenti di gas di Gagliano Castelferrato.
D’Angelo insistette nel dire che non voleva sfruttamenti del suolo di Sicilia a scopo capitalistico, come era avvenuto da sempre. E con Mattei fece un discorso chiaro: gli utili conseguiti con gli idrocarburi dovevano essere reinvestiti nell’Isola. La morte del presidente dell’ENI scombussolò l’accordo, la nuova dirigenza dell’ENI si dimostrò meno interessata di Mattei alla terra di Sicilia.
La tarda sera del 27 ottobre del 1962, lavoravo al notiziario del “Corriere di Sicilia”, quotidiano catanese di area socialdemocratica, Scesi a pianterreno dove c’era la tipografia e dove era collocata la telescrivente. A quel tempo non esisteva il fax e, manco a pensarci, il computer.
La carta a rullo della telescrivente vomitate notizie ogni mezz’ora veniva staccata e visionata dalla redazione. Non rammento l’ora esatta, ma dovevano essere all’incirca le 22, le 22,30, quando scesi a pianterreno, dove c’era la tipografia e la telescrivente. Il cuore saltò in gola nel leggere la notizia che l’aereo di Enrico Mattei partito da Catania era precipitato in località Bascapé, nei pressi di Milano. Corsi dal mio caposervizio, insieme salimmo i pochi gradini che portavano alla stanza del direttore. Proposi di andare ad intervistare il presidente della Regione D’Angelo, che quella notte si era fermato a Catania, all’Hotel Excelsior.
Va riportato che D’Angelo aveva chiesto un passaggio per Milano a Mattei e la cortesia di essere riportato indietro in serata perché il giorno dopo doveva partecipare a una riunione a Siracusa. Il pilota disse a D’angelo che non sarebbe stato possibile ritornare a Catania in serata perché su Milano si stava addensando un temporale. E così l’allora presidente della Regione scansò la morte. Diversi giornali riportarono che era stato Graziano Verzotto (Segretario regionale della DC in Sicilia) a chiedere il passaggio a Mattei, ma sbagliarono. Era stato D’Angelo. Mentre perse la vita il giornalista americano William McHale che salì su quell’aereo per intervistare il presidente dell’ENI lungo il tragitto.
Alla mia richiesta di sentire Giuseppe D’Angelo, non mi aspettavo un no. La risposta: «A quest’ora starà dormendo». Come dormendo? Qualcuno doveva senz’altro averlo informato della tragedia e chi dorme davanti a una notizia di quel genere e, peraltro, scampato alla catastrofe? Comunque, si poteva fare sempre un tentativo, almeno telefonare. «Lascia perdere», fu ancora la risposta. Io ero un pivellino, il direttore aveva sicuramente le sue ragioni.
Di certo, nell’Isola in molti sapevano che Mattei non sarebbe più tornato a casa da vivo. Era nell’aria, un’incombente cappa oscura del quale sospettava anche lo stesso Mattei se è vero, dalle ricostruzioni che furono fatte dopo la sua morte, che avesse espresso la sua titubanza ad affrontare quel viaggio.
(2 – continua)

